In ogni obiettivo di change, un buon clima di sicurezza psicologica in azienda è un ingrediente indispensabile per ottenere risultati interessanti.  In che modo un consulente può verificare rapidamente la situazione? E oltre agli stili di leadership ci sono altre direzioni da indagare per farsi un quadro completo e agire con la migliore efficacia?

La sicurezza psicologica (Psychological Safety) è un concetto che inizia a prendere corpo verso la fine del secolo scorso.  

Per molti aspetti è correlabile al tema del clima organizzativo, e in genere viene definito come un’atmosfera in cui le persone riescono a mostrare ed impiegare se stesse in una attività, senza paura delle possibili conseguenze negative.  

E’ ovvio che se una persona percepisce come pericoloso o svantaggioso l’assumersi rischi interpersonali nel posto di lavoro, se una risorsa, un membro del team, ritiene che le proprie idee potranno essere accolte con diffidenza o, peggio, banalizzate o addirittura non considerate, si può dire che si è in un ambiente caratterizzato da una scarsa sicurezza psicologica.

In un periodo come quello che stiamo vivendo, la natura delle mansioni sta subendo un forte cambiamento: la modularità, la prevedibilità, gli aspetti routinari stanno lasciando il posto a compiti che richiedono capacità di giudizio, di proporre nuove idee, di comunicazione e di gestione dell’incertezza. 

Ecco perché è importante ottenere che gli ambienti di lavoro siano il più possibile “psicologicamente sicuri”, dal momento che in tali ambienti i lavoratori possano sentirsi liberi di sbagliare e di condividere eventuali errori con altri senza la paura di sentirsi umiliati, in imbarazzo, o addirittura puniti. 

Capire in fretta il contesto in cui si agisce

In ambienti caratterizzati da scarsa sicurezza psicologica è veramente difficile condurre in porto un progetto di cambiamento che funzioni.

Dal punto di vista di un consulente è perciò essenziale potere avere rapidamente un polso della situazione prima ancora di entrare nella fase progettuale e di raccolta dati.

Adam Grant, psicologo americano molto attento alle dinamiche organizzative, propone un elenco di KBI -key behavioral indicators- che possono fungere da primo orientamento. 

In un’organizzazione dove c’è un clima di sicurezza psicologica le persone non temono di verbalizzare frasi come:

  • Non lo so
  • Ho fatto uno sbaglio
  • Non sono d’accordo 
  • Forse sono in errore
  • Ho una preoccupazione
  • Ho un’idea

Dunque la presenza -o l’assenza- di esternazioni di questo tipo costituisce già di per sé un valido indicatore, da completare ovviamente con interviste e questionari.

Nel caso in cui la situazione faccia trasparire un clima di scarsa sicurezza da dove si dovrebbe cominciare?

Nella letteratura corrente il primo indiziato è il capo, il leader. E’ lui che viene di solito indicato come il principale responsabile nella creazione di un clima psicologico funzionale, come sembra proporre la psicologa americana Amy Edmondson.

Non di solo leader

Nella definizione di Amy Edmondson, la sicurezza psicologica  è un fenomeno sistemico a livello di gruppo, in cui la fiducia reciproca gioca un ruolo essenziale. 

La dinamica che ne deriva è in grado di generare apprendimento di schemi comunicativi efficaci, che sfociano  nella creazione di comportamenti altrettanto efficaci e di prestazioni lavorative in crescita.  

Amy Edmondson mette in primo piano la capacità di agire una comunicazione efficace: tra colleghi, a soprattutto tra leader e collaboratori.

Indubbiamente il fatto di impostare l’intervento anzitutto sui manager è un passaggio obbligato, tuttavia sarebbe fuorviante pensare che la cosa si possa risolvere con un po’ di coaching sui team leader.

Infatti le dinamiche relazionali alla base di un clima di sicurezza psicologica non fluiscono solo verticalmente, ma anche orizzontalmente.

Antipatie, invidia, intolleranza sono spesso presenti anche tra pari, e non ci si può aspettare che un leader per quanto illuminato abbia le competenze (e il tempo) per gestire e risolvere situazioni di questo genere.

Senza poi citare i numerosi casi in cui il team leader nulla può contro un CEO o un Direttore generale di vedute ristrette ed egoriferiti

Criterio operativo, allargare il quadro

Va detto in sintesi che l’approccio della Edmondson contiene spunti utili, ma -a parte l’enfasi eccessiva sull’azione del leader, la sua impostazione sconta una visione dell’azienda come un sistema chiuso: l’insicurezza, il disorientamento nascono spesso anche altrove, in altri sistemi di cui ognuno è parte, per poi essere importati in azienda.  

Per chiarire meglio, Urie Bronfenbrenner -psicologo sistemico -propone già dagli anni ’70 del secolo scorso un “modello ecologico” dove ognuno è parte di più sistemi concentrici:

  • microsistema: ad esempio la famiglia, il lavoro, gli hobby
  • mesosistema: situazioni che nascono dal modo con cui il soggetto con la sua azione diretta crea connessioni tra i vari Microsistemi
  • esosistema: nasce dall’interconnessione tra due o più contesti sociali dove la persona può non avere un’azione diretta.  Ad esempio luogo di lavoro- situazione di mercato
  • macrosistema: comprende le istituzioni politiche ed economiche, i valori della società, la sua cultura.

E’ evidente che le possibili influenze rispetto a una atmosfera di sicurezza psicologica sul luogo di lavoro possono arrivare da molto lontano e anche da contesti differenti da quello lavorativo.

Questo naturalmente allarga la sfida per il consulente, ma gli offre anche una utile indicazione per la sua attività di indagine: non limitarsi a indagare ciò che cade sotto i propri occhi, ma spingersi oltre e mappare un quadro sistemico il più ampio possibile.

Ciò gli darà la capacità di agire tenendo conto dei fattori influenzanti più rilevanti, qualunque sia la loro origine, e di predisporre strategie opportune e realmente calzanti alla situazione.

E’ evidente che le possibili influenze rispetto a una atmosfera di sicurezza psicologica sul luogo di lavoro possono arrivare da molto lontano e anche da contesti differenti da quello lavorativo.

Questo naturalmente allarga la sfida per il consulente, ma gli offre anche una utile indicazione per la sua attività di indagine: non limitarsi a indagare ciò che cade sotto i propri occhi, ma spingersi oltre e mappare un quadro sistemico il più ampio possibile.

Ciò gli darà la capacità di agire tenendo conto dei fattori influenzanti più rilevanti, qualunque sia la loro origine, e di predisporre strategie opportune e realmente calzanti alla situazione.

Camillo Sperzagni

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