7F251C88-CEFC-411D-8F58-CAEB0A4B027C_1_201_a

Bentornati a casa

La subsidiary italiana di un’azienda tedesca di presidi medici ci ha chiesto di facilitare una parte del sales meeting.

Il contesto

Dopo mesi di pandemia e quindi di distanza, che non ha rallentato la crescita degli ultimi anni, l’azienda aveva bisogno di rafforzare il legame con il team del sale.

L’occasione è stata anche l’imminente trasferimento nella nuova sede, che ha permesso, anche simbolicamente, di segnare un nuovo inizio

Il nostro intervento

Noi siamo intervenuti proponendo un workshop Lego® Serious play®, la metodologia ideale secondo noi, per lavorare sull’identità del team e sulla vision.

Il gruppo era numeroso ed abbiamo deciso di dividerlo in due lavorando in due facilitatori, in parallelo, per poi unire i due gruppi per estrarre una sintesi comune.

I partecipanti non avevano mai lavorato con Lego® Serious play® per questo abbiamo deciso di partire in modo tradizionale con la parte di Skill Building e fare quello che a volte si chiama Setting the Stage. Permette a tutti di verificare che sono in grado di costruire qualcosa con i mattoncini, anche se non ci hanno mai giocato nella loro infanzia.

E’ sempre motivante osservare le faccia prima stupite delle persone a cui proponiamo di “giocare” con i mattoncini, e poi un misto tra contente ed incredule.

Contente perché la parte ludica e di divertimento è importante e noi la teniamo viva per tutta la durata del workshop.

Incredule per la potenza del metodo e per i risultati che emergono con facilità e velocemente.

Lego® Serious play®

I due team hanno partecipato attivamente per tutto il tempo. E questo è un altro dei risultati del metodo, denominato anche 100 – 100:

  • partecipano il 100% delle persone presenti, non è possibile estraniarsi, o trincerarsi dietro il silenzio, il metodo richiede la costruzione di un modello, in base alle istruzioni del facilitatore, e la sua illustrazione agli altri
  • si partecipa per il 100% del tempo, guidati dal facilitatore si construisce e si racconta quello che contiene il modello costruito.

Questo è uno dei più importanti risultati dell’applicare Lego® Serious play®. Non ci possono essere persone che “guardano” durante un workshop.

In genere usiamo sempre una presentazione per introdurre il lavoro da fare e, sopratutto, per introdurre la challange sulla quale si vuole lavorare.

Come sanno gli addetti ai lavori, Lego® Serious play® necessita di un problema da risolvere, di una domanda a cui dare risposte.

E’ un potente strumento di mediazione tra la nostra mente e la realtà, un ottimo strumento di rappresentazione di concetti astratti, di metafore.

Conclusioni

L’azienda ha trovato estremamente efficace l’utilizzo di Lego® Serious play® perché in poco tempo ha permesso di lavorare con tutte le persone sul loro concetto di team e su quali caratteristiche potevano essere utili per avere successo.

CHANGE

Il coaching come strumento di change management

Come il coaching può essere un valido alleato in un processo di cambiamento

Il cambiamento, si sa, suscita molto spesso resistenze. A volte sentiamo dire che le persone non amano i cambiamenti, che amano le consuetudini e che preferiscono stare nella loro confort zone.

Tutto vero, salvo poi constatare che tutti facciamo tanti cambiamenti nella nostra vita. Quindi forse sarebbe meglio dire che le persone non amano i cambiamenti che non capiscono.

Nella maggior parte dei casi i cambiamenti aziendali sono cambiamenti che, a parte chi li ha progettati, le persone subiscono, e molto spesso non capiscono per tanti motivi che affrontiamo in questo articolo.

Ci sono svariati modelli di change management che danno valide indicazioni su come gestire un processo di cambiamento. Per esempio, alcuni che partono dal punto di vista dell’individuo:

  • Il modello di Kurt Lewin che comprende le fasi di
    • lo scongelamento, o il superamento dell’inerzia
    • la confusione, data dalla transizione
    • il ricongelamento, o il consolidamento del nuovo stato raggiunto
  • il modello di Kübler-Ross, che parte dalla fasi che attraversa una persona che ha subito una perdita:
    • negazione o rifiuto
    • rabbia
    • patteggiamento
    • depressione
    • accettazione

Dal punto di vista aziendale modello più diffuso è quello chiamato ADKR sviluppato da Prosci, che comprende:

  • Awereness, consapevolezza
  • Desire, determinazione
  • Knowledge, conoscenza (di come fare)
  • Ability, attitudine, formare le persone
  • Reinforcement, sostegno, consolidamento

Esiste una formula che prende in considerazione le forze in gioco in un cambiamento, è la formula di Gleicher

D x V x F > R

Il cambiamento è possibile se, l’insoddisfazione (D) per la visione futura (V) per i primi passi concreti verso il cambiamento (F) risulta maggiore delle resistenze (R)

Quello che mi colpisce di questi approcci al cambiamento è che presuppone sia un processo meccanicistico da trattare con un processo lineare.

Ho imparato, anche personalmente, che dove ci sono delle persone in relazione tra loro, siamo di fronte ad un sistema complesso da trattare con approcci empirici e non dettati dalla presunzione di poter conoscere le relazioni causa – effetto che governano quel sistema.

Su come suddividere i sistemi, e su come gestirli, un modello che trovo molto funzionale è quello di Dave Snowden, CYNEFIN che trovo utile per decidere quale approccio usare a seconda del sistema che mi trovo di fronte.

Le aziende sono sistemi complessi, fatte di persone in relazione tra loro. Relazioni che molto spesso non sono note e di cui vedo solo gli effetti, senza riuscire a ricondurli ad una o più specifiche relazioni.

In una situazione di questo genere, pensare modificare un sistema complesso con un processo meccanicistico capite bene che non può essere un approccio vincente.

Ecco che il coaching ci può essere di aiuto in un processo di cambiamento proprio per gestire al meglio le varie fasi che avremo individuato.

Un percorso di coaching è, esso stesso, un processo di change management. Dove la gestione viene condivisa tra Coach e Cliente. Il primo occupandosi del processo da seguire ed il secondo del contenuto.

Ad onor del vero anche per il percorso di coaching troviamo approcci meccanicistici e lineari, come il modello G.R.O.W. di John Whitmor che prevede di:

  • Goal, definire l’obiettivo
  • Reality, identificare la condizione presente
  • Options, esplorare le opzioni possibili
  • Will, mettere a punto un piano di azione

Ma tornando al nostro processo di change management, che possiamo immaginare sia stato progettato secondo uno dei modelli visti in precedenza, o altri, ma sempre con un approccio lineare, vediamo come usare il coaching.

A prescindere dal modello che vogliamo usare per governare il nostro processo di change possiamo sicuramente dire che partendo dalla situazione attuale A vogliamo arrivare ad un nuovo stato finale B. Il modo con cui arrivarci è il nostro piano da mettere in atto.

Business transformation innovation.

Affinancare nelle varie fasi un approccio di coaching può aiutare le persone, e l’azienda che ha deciso il cambiamento, prima di tutto

  • a comprendere il cambiamento, ad acquisire la consapevolezza di cosa ha spinto l’azienda a pianificare quello specifico cambiamento, a verificare quando è aderente con i desidere delle persone che lo devono mettere in atto;
  • può contrbuire a far emergere l’adesione al cambiamento;
  • far convergere obiettivi aziendali e personali attivando punti di vista diversi, non convenzionali ed innovativi;
  • a far emergere le vere resistenze, le motivazioni profonde
  • a ridefinire il piano di azione
  • a modificare il punto di arrivo recependo quanto emerso nella fase di cambiamento.

La fase di maggiore utlitità di un approcci di coaching è quella precedente, cioè quella di definizione del cambiamento da attuare. In questa fase identificare obiettivi reali ed esplorare le motivazioni che mi spingono in quella direzione possono essere una delle migliori premesse per in processo di cambiamento efficace e condiviso. Cerco sempre di suggerire un approccio iterativo incrementale con dei momenti di verifica, che fanno parte della fase di messa a terra del metodo di intervento di variacion.

High speed studio photography, moment of the impact of a bullet on a classic electric bulb. Detail of glass explosion, blue and purple lighting. Concept of obsolete energy.

Supporto all’innovazione

Una primaria azienda italiana ci ha ingaggiati per dare supporto al loro primo concorso interno sull’innovazione.

Il contesto

Il concorso interno aveva l’obiettivo di selezionare un team tra tutti i partecipanti, che avrebbe potuto realizzare il proprio progetto. Il budget era volutamente limitato come il tempo a disposizione da trovare tra il consueto lavoro.

Il contest prevedeva una prima selezione per arrivare a cinque team che avrebbero avuto due mesi per consolidare la lora idea e partecipare alla selezione finale con un solo vincitore.

Il nostro intervento

Noi siamo intervenuti partecipando alla progettazione della seconda fase di supporto ai team proponendo un approccio agile per due motivi:

  • lavorando a tempi e costi fissi uno dei migliori approcci è quella iterativo incrementale che si concentra sul valore prodotto/rilasciato
  • poter fornire un nuovo approccio adatto a contesti complessi, avendo la possibilità di sperimentarlo.

Abbiamo così previsto:

  • una prima fase di formazione a tutti i team, circa quaranta persone, cercando di creare il più possibile aule con persone di team diversi. Questo ha fornito le basi teoriche per poter sperimentare e mettere in pratica al meglio il nuovo approccio
  • una seconda fase di supporto di agile coaching durante le iterazione, gli sprint, lavorando sopratutto sull’approccio iterativo incrementale e sull’accettare di non aver definito tutto e subito.

La formazione si è concentrata sul framework Scrum, che poi avremmo applicato per in quattro sprint per due mesi. E’ stato interessante confrontarsi con persone abituate ad una rigida programmazione e pianificazione, spesso con evidenti criticità, per discutere di un modo nuovo di approcciare i progetti ed i problemi.

Il supporto invece è stato un “classico” agile coaching ai team guidandoli nell’applicazione dell’approccio iterativo incrementale e del framework Scrum.

Il framework Scrum

Il backlog

Per prima cosa abbiamo definito il backlog, la lista ordinata in termini di priorità delle cose da fare. Nei primi incontri abbiamo aiutato i team a capire cosa serviva, cosa fare per prima, e ad “accontentarsi” di approfondire tutto, ma solo le cose da fare per prime. In questo caso la sfida, con coach, è quella di tenere il team focalizzato sul presente e l’immediato futuro, senza fuggire troppo avanti.

Il Backlog

I working agreement e gli sprint

Per iniziare, ogni team, doveva definire come lavorare, quelli che generalmente chiamiamo working agreement. I team agile sono autorganizzati, e questo, anche se è uno stato a cui tutti dicono di ambire, inizialmente li disorienta. In questo caso, la mia risposta da coach tipica è:

lo dovete decidere voi.

I team ci mettono un po’ ad appropriarsi della loro possibilità di definire alcune cose, non aspettando che altri lo facciano per loro.

Una volta definite le regole per agire abbiamo fatto partire gli sprint e facilitata tutti gli eventi relativi, planning, daily, review e retrospettiva. Di questa ne parliamo a parte.

La retrospettiva

La retrospettiva è, per me, l’evento del framework Scrum più importante. Ed in genere quello che trova maggiori resistenze nei team nuovi all’applicazione del framework. Trovo che sia anche l’evento che ha più senso introdurre a prescindere da agile e Scrum.

Le differenze rispetto ad un momento di riflessione su come si è lavorato, sono:

  • che viene fatto durante il progetto, a cadenza fissa
  • che richiede esplicitamente di definire delle azioni di miglioramento da mettere in pratica nella iterazione successiva.

Conclusioni

E’ stato un bel percorso che l’azienda ha valutato positivamente considerandolo come “un progetto pilota” per una futura diffusione del mindset agile in altri settori.

Il percorso fatto assieme ha permesso di conoscere e mettere in pratica il mindset agile ed il framework Scrum saggiandone le potenzialità in contesti complessi.

Ha permesso anche di sperimentare con ottimi risultati la creazione di team cross-funzionali e autorganizzati.

libreria-acqua-alta-venezia-2

WISE LEADERSHIP

E’ il momento della “Leadership saggia”.  Ma siamo sicuri che sia una scelta possibile?

E’ interessante notare che su un elemento cruciale per l’efficacia e l’efficienza dei processi organizzativi com’è appunto la leadership, a intervalli quasi regolari vengono proposti nuovi paradigmi contrassegnati da nuovi criteri operativi e nuovi presupposti teorici.

Il che è una conferma indiretta del fatto che a tutt’oggi non si è ancora riusciti a definire un modello soddisfacente di leadership, e che quelli che sembrano tali vengono via via smentiti dalla realtà della vita aziendale.

Negli anni abbiamo visto avvicendarsi Leadership transazionale (E.Hollander); Leadership situazionale (P.Hersey, K.Blanchard); Leadership carismatica (M.Weber); Leadership generativa (R.Dilts); Leadership trasformazionale (J.V.Downton); Servant Leadership (R.K.Greenleaf).

Ora è il momento della Wise Leadership (B.McKenna, D.Rooney, K.Boal): che cosa la contraddistingue?

I tre autori spiegano la capacità intuitiva dei leader saggi come:

esperienza che comprende, auto-comprensione e una qualità metafisica.

B.McKenna, D.Rooney, K.Boal

I leader saggi, dicono, riconoscono:

il sensoriale e il viscerale come componenti importanti del processo decisionale e del giudizio … che non li vincolano assolutamente alle regole della ragione, consentendo così visione, intuizione e lungimiranza

B.McKenna, D.Rooney, K.Boal

I leader saggi sono consapevoli di sé, consapevoli dei propri pregiudizi, dei propri condizionamenti sociali e quindi in grado di moderare la tendenza all’eccesso di ottimismo con i propri istinti intuitivi.

Ma hanno anche imparato ad apprezzare l’intuizione, avendo appreso a usarla bene in combinazione con la loro capacità razionale ed esperienza.

La saggezza in un’indagine su un panel di dirigenti

Una indagine su 182 dirigenti coordinata da Mike Thompson, Professor of Management Practice and Director of the Centre for Leadership and Responsibility (ECCLAR) at the China Europe International Business School sembra supportare questa visione:

  1. Il leader saggio ha lungimiranza;
  2. Il leader saggio usa la ragione, l’esperienza e l’attenta osservazione;
  3. Il leader saggio tiene conto di elementi non razionali e soggettivi quando prende decisioni e,
  4. Il leader saggio ha un orientamento al di là dell’interesse personale e verso il Bene Comune.

Agli intervistati era stato chiesto inoltre se, nella loro esperienza, potevano descrivere come la saggezza potrebbe aggiungere qualcosa in più al processo decisionale. Ecco una risposta significativa:

La saggezza è l’elemento critico che separa le buone decisioni da decisioni brillanti e di successo, nonché ciò che separa il processo decisionale di leader efficaci da quello di semplici manager o capi

Alla prova dei fatti

Certo sarebbe bello se la leadership saggia potesse finalmente far aumentare la fiducia dei collaboratori nei loro capi, attualmente attestata attorno a uno sconfortante 24%  (R.I.Sutton).

Sta di fatto però che tutti i modelli di leadership proposti ad oggi, compreso quest’ultimo, sono viziati da una mancanza di cultura sistemica.

Parlano infatti di “qualità” e “skill” del leader come se fossero suoi tratti personali. Ma è un approccio antiscientifico: la realtà è un’altra.

Siamo ancora influenzati da una modalità di pensiero vecchia di almeno un secolo, che ci porta a credere che le qualità espresse da una persona siano manifestazioni di una sua “personalità “.

Non è vero: qualunque qualità è espressione di una relazione tra un soggetto e un contesto. La qualità emerge dal processo, non dall’individuo.  

Dunque, non “tratti della personalità “, ma circolarità di competenze e motivazioni tra soggetti diversi. Ne consegue che non può esserci un leader saggio con un team saggio all’interno di un’organizzazione strettamente focalizzata su produttività, profitto e competizione ad ogni costo.

La wise leadership, per potersi dispiegare, necessita di un contesto appropriato.  Provate a prendere i quattro punti elencati nel paragrafo precedente e al soggetto “Il leader saggio” sostituite “l’azienda saggia”. Quante tra le aziende che conoscete soddisfa tutti i punti, l’ultimo in particolare?

A dispetto di ciò, Mike Thompson resta ottimista:

Ci  sono molti leader aziendali che non attraggono i titoli dei media ma che sono ammirati all’interno dei loro circoli per la loro capacità di vivere al di là del loro interesse personale e nel dare giudizi che servono il bene di tutti. Ciò non significa che la saggezza non si prenda cura del proprio interesse personale, significa semplicemente che esiste una saggezza per vivere per un mondo più grande. Occorre combattere le cattive notizie con altre buone notizie su aziende e marchi che vogliono fare del bene nel mondo e fornire ritorni finanziari 

In conclusione: la wise leadership esiste, può funzionare, ma oggi non è la norma e nemmeno può esserlo. Il tempo ci dirà se avrà vinto la sua crociata o se invece seguirà il destino degli altri modelli di leadership, con la fiducia dei collaboratori sempre al 24 per cento.

7F251C88-CEFC-411D-8F58-CAEB0A4B027C_1_201_a

La retrospettiva diventa un gioco serio con il metodo Lego® Serious play®!

Possiamo fare una retrospettiva agile in uno spazio creativo completamente nuovo in cui si possa provare ad esprimere i propri pensieri ad un buon livello di astrazione, profondità ed in poco tempo?

Certo! Si può fare utilizzando la metodologia Lego® Serious play®

Cos’è Lego® Serious play®

Lego® Serious play® (da ora in avanti LSP), in poche parole, è un modo diverso di conversare di tematiche complesse in maniera giocosa e seria. Potrebbe essere definito come un insieme di attività che combinano la modellazione metaforica attraverso la costruzione con i Lego per esplorare questioni complesse: uno strumento di comunicazione visiva, materica e cinetica dell’idea che si vuole discutere insieme. 

Il processo di LSP è composto da 4 fasi, in cui Il facilitatore:

  1. pone ai partecipanti domande strettamente legate all’obiettivo della giornata, la SFIDA
  2. le risposte sono fisicamente costruite con i mattoncini Lego®, che diventano il medium di storie, intuizioni e conversazioni, attraverso l’uso delle metafore, la COSTRUZIONE
  3. successivamente ciascuno racconta la storia della metafora rappresentata nel suo modellino, il RACCONTO
  4. e nell’ultima fase del processo si tracciano le conclusioni emerse dalle storie ascoltate, LA RIFLESSIONE.

Ciò che distingue davvero una sessione LSP da un normale incontro retrospettivo non è solo l’uso di LEGO, ma il metodo stesso, che fa in modo che la voce di tutti sia ascoltata.

I partecipanti, infatti, sono impegnati il ​​100% del tempo e contribuiscono con il 100% delle loro intuizioni, conoscenze, opinioni, idee e impegno.

Lo scopo del metodo LSP è realizzare e sfruttare TUTTO il potenziale presente nel gruppo. Non solo quello che normalmente viene espresso dai più vivaci, loquaci e attivi. Essere in grado di liberare e beneficiare del potenziale di tutti i partecipanti all’incontro produce più opinioni, idee, conoscenze, intuizioni e allo stesso tempo crea più coinvolgimento, impegno e fiducia.

Se vuoi approfondire: 

Perché usare LSP in una retrospettiva agile?

LSP permette l’uso di un linguaggio divertente e molto versatile perché

  • C’è un unico metro comunicativo: il mattoncino Lego®: Un linguaggio comune, semplice, immediato, comprensibile a tutti
  • È più facile capire un pensiero in 3D!  
  • Focalizza sulla Costruzione, non sulle persone; LSP permette di avere migliori conversazioni, più centrate sull’obiettivo e libere da giudizi soggettivi conflittuali
  • la partecipazione è al 100%: tutti parlano, tutti mettono sul tavolo le loro idee
  • Il gioco libera energie creative ed emotive: LSP permette l’emersione non solo dei fatti, ma anche degli aspetti emotivi che ci stanno dietro e che spesso altri format di retro sfiorano appena.  Questo dipende dalla forza metaforica del proprio pensiero espresso in 3D, della sua narrazione e condivisione che la metodologia riesce ad imprimere sulle mani e sul pensiero. 

Cosa puoi aspettarti:

Usare LSP  in una Retrospettiva aiuta i team a creare un mondo alternativo a quello dell’ufficio perché LSP trasforma lo spazio in un luogo creativo in cui le regole della vita lavorativa ordinarie sono temporaneamente sospese e sostituite con le regole di questo metodo. 

La maggior parte di noi ha familiarità con LEGO®, uno dei giocattoli di marca più conosciuti al mondo. Questo metodo offre ai membri del team l’opportunità di esprimere le proprie opinioni in modo “concretamente” astratto: è come stampare in 3D  la metafora dei propri pensieri e permette all’intangibile di diventare un oggetto che si può muovere nello spazio, si può toccare, modificare e studiare da più angolazioni. Questo aspetto di LSP è forse il dono più prezioso della metodologia perché permette di creare le condizioni che faranno emergere soluzioni inaspettate e sorprendenti.

E’ un metodo adatto sia ad un team altamente disfunzionale (con diversi problemi da risolvere, perchè i mattoncini possono aiutarlo a rimettere insieme i pezzi – letteralmente- e rifocalizzare il lavoro) sia ad uno che già lavora bene perchè i mattoncini portano le conversazioni e le dinamiche di gruppo a sorprendenti nuovi livelli.

Come si gioca:

Per preparare il terreno a questo tipo di retrospettiva, i membri del team dovrebbero accettare di rispettare le regole di quel nuovo spazio volontariamente (ad esempio la prima direttiva) poiché non è un gioco se le persone sono costrette a giocare. Questo accordo tra tutti i membri del team crea un luogo sicuro in cui i membri possono ingaggiare se stessi in comportamenti anche rischiosi o scomodi.

Usando termini più consoni, nello specifico si tratta di creare la sicurezza psicologica (è compito del facilitatore crearla e mantenerla): è la cosa più importante in un team, ancor di più se si gioca (con o senza lego®) per esaminare con onestà e tranquillità i fatti e le emozioni. Un clima interno al team psicologicamente sicuro è l’ingrediente che permette a tutti di esprimere sinceramente le proprie opinioni con il massimo dell’immaginazione e creatività, che il gioco naturalmente genera. Sulla psycological safety come pre requisito fondamentale per ogni team- agile e non– vi rimando a questo video, girato durante la conferenza 2019 di AGILE BUSINESS DAY. E’ anche un argomento del nostro corso Agile People Fundamentals & HR (ICP-AHR), e trovate un nostro articolo con un punto di vista diverso dal solito.

Per questa retrospettiva seguiremo il modello agile del libro:  Agile Retrospectives: Making Good Teams Great , di Esther Derby e Diana Larsen

Tempo necessario per la retrospettiva:

  • preparazione: 10 minuti
  • retrospettiva: 90-120 minuti

Cominciamo!

Ti servono

  • una certa quantità di mattoncini LEGO® misti (la quantità dipende dalle dimensioni della squadra). Di’ ai membri di sedersi intorno ad un tavolo (anche per terra va bene, è il primo luogo in cui abbiamo giocato) e metti i mattoncini nel mezzo.
  • musica (non invasiva o canticchiabile, che distrae, ma come sottofondo è un fattore di relax e di clima disteso)

Set the stage: HANDS OFF!

Definisci l’obiettivo e la direzione della retrospettiva. In particolare spiega a cosa serve, su cosa vuoi concentrare l’attenzione del team, e quali sono obiettivi: invita a parlare tutti, in maniera sintetica.

Warm-up: HANDS ON!

Si tratta di esercizi di “riscaldamento”, nello specifico 3

  1. Costruisci un aereo (1 minuto)- raccontalo
  2. Costruisci una cosa a caso con 7 pezzi (15 secondi); passa il tuo modellino al compagno alla tua destra e racconta con quello che ti è arrivato il tuo lunedì mattina (puoi utilizzare qualsiasi altro concetto);
  3. Pensa ad un regalo per una persona importante per te e costruisci la scatola (2 minuti)- raccontala;
  4. in alternativa, costruisci l’avatar personale con un punto di forza che pensi di portare nel team (2 minuti)-  raccontalo.

Questi esercizi hanno questi obiettivi:

  • prendere confidenza con i mattoncini (al punto 1 fai costruire un oggetto semplice, una torre per es, oppure un ponte). L’importante è che sia solo per giocare, divertente e con una piccola sfida incorporata
  • esercitare le persone all’uso della metafora e dello “storymaking”.

Le regole da ricordare al team e che il facilitatore si premura di far rispettare per mantenere la sicurezza psicologica sono:

  • non ci sono regole o linee guida da seguire nella costruzione (no, non è Fight Club)
  • stiamo rappresentando le nostre idee, non è una gara di costruzione, né di estetica
  • fidati delle tue mani, mettiti subito all’opera, non passare troppo tempo a pensare a cosa costruire, ma di costruire, perché il senso emergerà; 
  • raccontare solo la storia del modellino, così facendo non ci si perdera mai; se quello che si racconta non è nel modellino, non interessa.
  • ogni costruzione è GIUSTA e il senso è SEMPRE accettato da tutti, sono vietate le interpretazioni
  • si possono, anzi, è stra-consigliatofare domande sui modellini degli altri per approfondire i concetti espressi dal costruttore, evitando giudizi.

Gather data: HANDS ON!

In questa fase con LSP faremo un esercizio individuale che serve a raccogliere i dati 

Lavoro INDIVIDUALE (7 minuti)

In questo passaggio invita tutti a pensare allo sprint appena concluso e poi lancia la sfida: 

Costruisci un modello che rappresenti come ha lavorato secondo te il team nell’ultima sessione; focalizzati su valori, comportamenti, atteggiamenti (positivi/negativi, interni/esterni)

music on!

I partecipanti possono usare tutti i mattoni di cui hanno bisogno. Occorre dare loro tempo per essere creativi e per pensare all’ultimo sprint. Alcuni inizieranno subito, altri potrebbero pensare di più e, come facilitatore, potresti incitarli a fidarsi del processo, delle mani ed invitarli a costruire qualcosa perché il senso emergerà, in qualche modo. La musica può aiutare a rendere l’ambiente ancora più confortevole.

  • Describe: fai scrivere su post it poche parole che riassumano il significato del modello
  • Share: fai raccontare a ciascuno il suo modellino (2 minuti a testa)
  • Inspect: a fare domande sul modellino e suo significato (1 minuto)

Get InsightsHANDS ON!

Lavoro di TEAM: POSIZIONAMENTO (10 minuti)

In questo passaggio usiamo i modellini dei dati per far costruire al team una rappresentazione unitaria e condivisa dell’ultimo sprint, invitandoli a posizionare sul tavolo i loro modelli in modo da stabilire fra essi delle relazioni che diano senso e vita a una configurazione complessa. Più i modelli sono vicini, più la relazione tra loro è forte. Tutti i modelli devono essere posizionati, senza essere modificati e con minimo un palmo di distanza l’uno dall’altro (niente ammucchiate!). Quando avranno terminato un portavoce presenterà il risultato. In gergo LSP questa tecnica è chiamata “landscape”, data la forte connotazione “geografica” del posizionamento.

È in questa fase che il team, mettendo in relazione i fatti, raccontandoseli, identifica in modo creativo trend, connessioni, relazioni e correlazioni causa-effetto in modo molto veloce. 

STABILIRE DELLE PRIORITA’: Con il team davanti al landscape, il facilitatore può ora chiedere, In base alla storia che il team ha raccontato e ai significati dei modellini, su cosa vuole lavorare e con un veloce un dot voting vengono scelti i modellini temi su cui si vuole discutere.

Decide what to do: HANDS-ON!

Lavoro INDIVIDUALE (3 minuti)

In questo passaggio invita tutti a pensare a delle idee di miglioramento e lancia la sfida:

Costruite una o più idee di miglioramento per uno (si, uno solo) dei punti più rilevanti emersi dalla fase precedente.

Velocemente fai raccontare le idee, falle scrivere su un post it e posizionarle vicino al punto critico scelto. Alla fine il team avrà in un solo colpo d’occhio i punti con il maggior numero di idee attorno.

Potranno scegliere a quale dare priorità. (dot voting delle idee di miglioramento, due o tre al massimo)

Decide what to do: HANDS OFF!

La fase di costruzione è finita e si chiude con le azioni. Stimolando un braistorming su come implementare queste idee, si chiede a ciascun membro del team di scrivere un’azione specifica. Come ultima scelta, di decidere le azioni prioritarie per ogni idea. Questa fase si fa normalmente con i post it.

Close: HANDOFF!

In questa fase ognuno esplicita l’azione cha ha deciso e si cercano punti di miglioramento per la prossima retrospettiva.

Sicurezza psicologica

SICUREZZA PSICOLOGICA: NON E’ MAI SOLO MERITO (O DEMERITO) DEL LEADER

In ogni obiettivo di change, un buon clima di sicurezza psicologica in azienda è un ingrediente indispensabile per ottenere risultati interessanti.  In che modo un consulente può verificare rapidamente la situazione? E oltre agli stili di leadership ci sono altre direzioni da indagare per farsi un quadro completo e agire con la migliore efficacia?

La sicurezza psicologica (Psychological Safety) è un concetto che inizia a prendere corpo verso la fine del secolo scorso.  

Per molti aspetti è correlabile al tema del clima organizzativo, e in genere viene definito come un’atmosfera in cui le persone riescono a mostrare ed impiegare se stesse in una attività, senza paura delle possibili conseguenze negative.  

E’ ovvio che se una persona percepisce come pericoloso o svantaggioso l’assumersi rischi interpersonali nel posto di lavoro, se una risorsa, un membro del team, ritiene che le proprie idee potranno essere accolte con diffidenza o, peggio, banalizzate o addirittura non considerate, si può dire che si è in un ambiente caratterizzato da una scarsa sicurezza psicologica.

In un periodo come quello che stiamo vivendo, la natura delle mansioni sta subendo un forte cambiamento: la modularità, la prevedibilità, gli aspetti routinari stanno lasciando il posto a compiti che richiedono capacità di giudizio, di proporre nuove idee, di comunicazione e di gestione dell’incertezza. 

Ecco perché è importante ottenere che gli ambienti di lavoro siano il più possibile “psicologicamente sicuri”, dal momento che in tali ambienti i lavoratori possano sentirsi liberi di sbagliare e di condividere eventuali errori con altri senza la paura di sentirsi umiliati, in imbarazzo, o addirittura puniti. 

Capire in fretta il contesto in cui si agisce

In ambienti caratterizzati da scarsa sicurezza psicologica è veramente difficile condurre in porto un progetto di cambiamento che funzioni.

Dal punto di vista di un consulente è perciò essenziale potere avere rapidamente un polso della situazione prima ancora di entrare nella fase progettuale e di raccolta dati.

Adam Grant, psicologo americano molto attento alle dinamiche organizzative, propone un elenco di KBI -key behavioral indicators- che possono fungere da primo orientamento. 

In un’organizzazione dove c’è un clima di sicurezza psicologica le persone non temono di verbalizzare frasi come:

  • Non lo so
  • Ho fatto uno sbaglio
  • Non sono d’accordo 
  • Forse sono in errore
  • Ho una preoccupazione
  • Ho un’idea

Dunque la presenza -o l’assenza- di esternazioni di questo tipo costituisce già di per sé un valido indicatore, da completare ovviamente con interviste e questionari.

Nel caso in cui la situazione faccia trasparire un clima di scarsa sicurezza da dove si dovrebbe cominciare?

Nella letteratura corrente il primo indiziato è il capo, il leader. E’ lui che viene di solito indicato come il principale responsabile nella creazione di un clima psicologico funzionale, come sembra proporre la psicologa americana Amy Edmondson.

Non di solo leader

Nella definizione di Amy Edmondson, la sicurezza psicologica  è un fenomeno sistemico a livello di gruppo, in cui la fiducia reciproca gioca un ruolo essenziale. 

La dinamica che ne deriva è in grado di generare apprendimento di schemi comunicativi efficaci, che sfociano  nella creazione di comportamenti altrettanto efficaci e di prestazioni lavorative in crescita.  

Amy Edmondson mette in primo piano la capacità di agire una comunicazione efficace: tra colleghi, a soprattutto tra leader e collaboratori.

Indubbiamente il fatto di impostare l’intervento anzitutto sui manager è un passaggio obbligato, tuttavia sarebbe fuorviante pensare che la cosa si possa risolvere con un po’ di coaching sui team leader.

Infatti le dinamiche relazionali alla base di un clima di sicurezza psicologica non fluiscono solo verticalmente, ma anche orizzontalmente.

Antipatie, invidia, intolleranza sono spesso presenti anche tra pari, e non ci si può aspettare che un leader per quanto illuminato abbia le competenze (e il tempo) per gestire e risolvere situazioni di questo genere.

Senza poi citare i numerosi casi in cui il team leader nulla può contro un CEO o un Direttore generale di vedute ristrette ed egoriferiti

Criterio operativo, allargare il quadro

Va detto in sintesi che l’approccio della Edmondson contiene spunti utili, ma -a parte l’enfasi eccessiva sull’azione del leader, la sua impostazione sconta una visione dell’azienda come un sistema chiuso: l’insicurezza, il disorientamento nascono spesso anche altrove, in altri sistemi di cui ognuno è parte, per poi essere importati in azienda.  

Per chiarire meglio, Urie Bronfenbrenner -psicologo sistemico -propone già dagli anni ’70 del secolo scorso un “modello ecologico” dove ognuno è parte di più sistemi concentrici:

  • microsistema: ad esempio la famiglia, il lavoro, gli hobby
  • mesosistema: situazioni che nascono dal modo con cui il soggetto con la sua azione diretta crea connessioni tra i vari Microsistemi
  • esosistema: nasce dall’interconnessione tra due o più contesti sociali dove la persona può non avere un’azione diretta.  Ad esempio luogo di lavoro- situazione di mercato
  • macrosistema: comprende le istituzioni politiche ed economiche, i valori della società, la sua cultura.

E’ evidente che le possibili influenze rispetto a una atmosfera di sicurezza psicologica sul luogo di lavoro possono arrivare da molto lontano e anche da contesti differenti da quello lavorativo.

Questo naturalmente allarga la sfida per il consulente, ma gli offre anche una utile indicazione per la sua attività di indagine: non limitarsi a indagare ciò che cade sotto i propri occhi, ma spingersi oltre e mappare un quadro sistemico il più ampio possibile.

Ciò gli darà la capacità di agire tenendo conto dei fattori influenzanti più rilevanti, qualunque sia la loro origine, e di predisporre strategie opportune e realmente calzanti alla situazione.

E’ evidente che le possibili influenze rispetto a una atmosfera di sicurezza psicologica sul luogo di lavoro possono arrivare da molto lontano e anche da contesti differenti da quello lavorativo.

Questo naturalmente allarga la sfida per il consulente, ma gli offre anche una utile indicazione per la sua attività di indagine: non limitarsi a indagare ciò che cade sotto i propri occhi, ma spingersi oltre e mappare un quadro sistemico il più ampio possibile.

Ciò gli darà la capacità di agire tenendo conto dei fattori influenzanti più rilevanti, qualunque sia la loro origine, e di predisporre strategie opportune e realmente calzanti alla situazione.

Camillo Sperzagni